C’è
vita nella scuola.
Se più di 400 ragazzi e un manipolo di insegnanti si muovono, attratti dalle parole di due poeti, significa che la vita soffia ancora nelle scuole, che il grigiore del funzionalismo e della burocrazia ministeriale non ha ancora vinto le giornate di insegnati e studenti.
Oggi nel cinema teatro Massimo ci siamo ritrovati
da tutto l'Abruzzo non solo per celebrare la memoria di d'Annunzio, non per
scongelare una "mummia” del passato, ma per vedere accadere un fatto, un
poeta che legge un altro poeta.
Davide Rondoni, poeta contemporaneo tra i più
conosciuti in Italia, ha trascinato i ragazzi in un viaggio tra le parole, ha
scosso anche i loro insegnanti, proclamando innanzitutto che la poesia è il
contrario della retorica, dei discorsi a vuoto.
La poesia, l'arte, ci sono sempre state, sono
nate insieme all'uomo, come testimoniato dalle pitture rupestri degli uomini
primitivi. Il poeta ascolta, dice rondoni, si lascia colpire dalla realtà, da
ciò che accade, e cerca di rappresentarlo.
Anzi, ci ha detto che la poesia accade quando ci
sono “parole che chiedono di esser dette”.
Spaziando da Dante a Eliot a Leopardi siamo
arrivati (o tornati) a Forlì, al nonno di Davide, che a 85 anni chiama sua
moglie, appena più “giovane”, “el mi galet” (il mio galletto). Questa è una
parola poetica (il nonno aveva la seconda elementare...): diventa subito
un'immagine, apre il mondo più di tanti discorsi.
Il tema di oggi era “D'Annunzio illusionista
dell'io?”, e Davide parte con la sua interpretazione di d'Annunzio come uno dei
più grandi tragici del Novecento. Una tragedia elegantissima, ma forse proprio
per questo più struggente.
D'Annunzio vive in un'epoca che i libri
definiscono “Decadentismo”, ma - chiede Davide - cos'è che decade? Non è una
questione di gusti letterari, di opzioni filosofiche, ma gli artisti avvertono
il terreno che frana sotto i piedi, che quando si dice “io” si rischia di non
dire più niente, di affacciarsi tragicamente e vertiginosamente sul nulla.
Allora, per riempire questo vuoto, tutto (parola
sempre ossessivamente presente nell'opera dannunziana), tutto diventa pretesto:
gli amori, le opere d'arte, la guerra, il lusso, i debiti, la parola poetica,
fino al Vittoriale, il museo grandioso e tragico in cui d'Annunzio finirà per
chiudersi volontariamente. Anche il panismo, l'io che finisce per confondersi
con la natura, tradisce questo “horror vacui”, il desiderio che la vita diventi
divina è l'ultima e definitiva illusione.
Il convegno si era aperto con brevissimi
interventi di studenti dell'istituto “Nostra Signora”, che hanno raccontato
esperienze di studio e di incontri con autori letterari avvenuti grazie al
convegno “I colloqui fiorentini”, che ogni anno a Firenze mettono a tema un
autore della letteratura italiana, invitando studenti e docenti da tutta
Italia. La novità (che accade sempre! È il titolo della riflessione di Nicola
che abbiamo scelto come titolo) è antichissima, cioè bisogna “solo” leggere
opere dell'autore in questione e non testi di critica letteraria o di qualcuno
che ha scritto “sull'autore”: infatti i ragazzi dicono che ogni anno si è
lavorato “con” Foscolo, Verga o Dante, non “su” di loro!
Insomma, dopo l'incontro con autori del passato e di oggi, la percezione che è rimasta in tutti, giovani e più anziani, è che l'arte, e forse anche la scuola, finalmente c'entra con la vita.
Prof. Vincenzo Narciso